18/05/2025 - 18/05/2027
Nel settore alberghiero italiano – così radicato nella tradizione familiare – si fatica spesso ad accettare un’evidenza sotto gli occhi di tutti: il ruolo dell’albergatore è cambiato. Profondamente. E in modo irreversibile. Chi continua a interpretarlo con le logiche di trent’anni fa non solo è fuori dal mercato, ma rischia di compromettere la sopravvivenza stessa della propria struttura.
In molte realtà alberghiere, soprattutto a conduzione familiare, la guida della struttura è stata per anni affidata per “diritto ereditario”. Si trattava di un passaggio di consegne naturale, spesso privo di una reale selezione basata su competenze. Ma oggi il contesto competitivo, normativo, tecnologico e finanziario è così complesso da rendere inadeguato qualsiasi approccio che prescinda da una preparazione manageriale solida e aggiornata.
Se mai abbia funzionato davvero, l’epoca del “merito dinastico” è finita. Le nuove generazioni, giustamente, guardano altrove: a opportunità professionali più stimolanti, dinamiche e meritocratiche. Pensare che “l’hotel di famiglia” sia ancora l’unico orizzonte possibile è un errore strategico e culturale.
Le dinamiche familiari, quando diventano invasive, rappresentano un freno per lo sviluppo dell’azienda alberghiera. I giovani talenti – sia interni che esterni – fuggono da ambienti padronali, chiusi, scarsamente strutturati, dove il cambiamento viene percepito come minaccia e non come opportunità.
Bassi stipendi, poche prospettive di crescita, gerarchie informali e un’autorità non negoziabile portano inevitabilmente a un impoverimento di competenze e visione. Oggi la vera sfida è uscire dalla logica della “famiglia che gestisce” e passare a quella dell’impresa che compete sul mercato, con ruoli chiari, deleghe effettive, piani di sviluppo e meritocrazia reale.
L’albergatore del 2025 – che voglia avere un futuro nel settore – non può più essere “presente ogni tanto”, tra una visita in struttura e una telefonata di controllo. Deve “stare sul pezzo”. Cosa significa concretamente?
Comprendere le dinamiche manageriali: budgeting, HR, revenue, sviluppo commerciale.
Avere nozioni (anche se non operative) su tecnologia applicata all’hotellerie, dai PMS avanzati all’intelligenza artificiale.
Conoscere le logiche immobiliari: valutazione del valore, contratti di affiliazione o gestione, ristrutturazioni con ROI.
Capire qual è il proprio ruolo effettivo: se azionista, allora fiducia nella governance e nessuna invasività; se manager, allora pieno coinvolgimento operativo, ma con formazione e aggiornamento continui.
La differenza oggi si gioca qui. Nell'umiltà di comprendere che non basta più la passione o la consuetudine, ma servono strumenti, competenze e soprattutto un cambio di mentalità. L’albergatore contemporaneo non può più permettersi di essere “figlio di” o “titolare storico”: deve essere un leader preparato o lasciare spazio a chi lo è.
Infine, una riflessione cruciale: il capitale umano è la risorsa più strategica di ogni struttura ricettiva. L’albergatore moderno deve saper attrarre, motivare e trattenere persone di valore. E questo avviene solo in ambienti professionali, strutturati, aperti all’innovazione e con un orizzonte di crescita reale.
Il futuro dell’hotellerie italiana sta tutto qui: nel passaggio dalla cultura familiare a quella aziendale. Non è una perdita di identità. È un’evoluzione necessaria, una scelta di sopravvivenza. Chi saprà compiere questo passaggio, con lucidità e senso del tempo, non solo garantirà futuro al proprio hotel, ma contribuirà al rilancio dell’intero comparto.
Roberto Necci
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