18/05/2025 - 18/05/2027
Nel contesto post-pandemico e in un mercato in continua evoluzione, il confine tra ospitalità tradizionale e residenzialità temporanea si fa sempre più labile. Nascono così modelli “ibridi” che uniscono hotel, coliving e soluzioni di extended stay, rispondendo a nuove esigenze di mercato e, allo stesso tempo, offrendo opportunità di sviluppo e redditività interessanti per investitori e operatori.
Le trasformazioni del lavoro (smart working, lavoro ibrido, nomadismo digitale), i costi crescenti delle abitazioni nei centri urbani, e la crescente mobilità internazionale per studio, formazione e progetti temporanei hanno generato una domanda intermedia, né prettamente turistica né pienamente residenziale.
I target?
Professionisti in trasferta medio-lunga
Giovani expat
Studenti internazionali
Freelance e startupper
Persone in fase di relocation o transizione abitativa
Queste strutture si posizionano a metà tra un hotel classico e una residenza temporanea, con un'offerta flessibile che combina:
Camere e mini appartamenti con cucine private
Aree comuni per il networking e il coworking
Servizi alberghieri su richiesta (pulizie, reception, ristorazione)
Contratti flessibili: da pochi giorni a diversi mesi
Community engagement come elemento di attrattività
Il modello ibrido presenta una serie di vantaggi sia per l’investitore immobiliare che per l’operatore alberghiero:
1. Redditività più stabile e diversificata: L’unione tra tariffe dinamiche (hotel) e soggiorni a media durata (extended stay) consente di ridurre la stagionalità e aumentare l’occupazione media annuale.
2. Minore incidenza dei costi operativi (Opex): Meno frequenza nei servizi di housekeeping, minor turnover, e un livello di personalizzazione inferiore rispetto al full-service alberghiero tradizionale.
3. Sfruttamento più efficiente degli spazi: Un mix tra camere, studio e spazi comuni consente di ottimizzare superfici, riducendo le aree improduttive.
4. Maggiore resilienza in contesti di crisi: Durante la pandemia, molte strutture coliving e extended stay hanno mantenuto tassi di occupazione sostenibili grazie a una clientela meno sensibile al turismo leisure.
La realizzazione di una struttura ibrida richiede una pianificazione accurata e un investimento iniziale (Capex) generalmente superiore a quello di un hotel standard, a causa di:
Layout più complessi (spazi abitativi misti, arredi modulari, impianti per cucine)
Aree comuni multifunzionali (coworking, cucine comuni, lounge)
Necessità di tecnologie smart per gestioni automatizzate
Tuttavia, il ritorno sull’investimento (ROI), nel medio-lungo periodo, tende a essere più stabile e più alto rispetto a molte strutture ricettive tradizionali, specie in destinazioni urbane o in aree universitarie/aziendali ad alta densità di domanda.
Il modello è già consolidato in mercati come Berlino, Amsterdam, Londra, Barcellona e New York, dove esistono brand dedicati come The Student Hotel (TSH), Zoku, Lyf by Ascott, LifeX, Quarters, Staycity.
In Italia, si stanno muovendo i primi operatori specializzati, ma lo sviluppo è ancora parziale. Le città con maggiore potenziale?
Milano, per l’ecosistema lavorativo e universitario
Roma, per studenti e internazionalizzazione
Torino, Bologna, Firenze, per attrattività formativa e rigenerazione urbana
Meno adatto invece in contesti rurali, montani o balneari, dove la domanda è ancora troppo orientata alla stagionalità pura.
Quello che inizialmente poteva sembrare un fenomeno di nicchia si sta strutturando come una vera nuova asset class nel real estate e nell’hotellerie: la living hospitality. Un ibrido flessibile, scalabile e resiliente che richiede competenze di progettazione, gestione e marketing nuove, ma che promette margini e prospettive molto interessanti.
Roberto Necci
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