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Alberghi e forza lavoro: la vera sfida è la gestione della diversità

15/06/2025 - 15/06/2027

In questi mesi, il settore alberghiero italiano si trova nuovamente ad affrontare una delle sue sfide più strutturali: la carenza di personale. Secondo Confcommercio, mancano all’appello oltre 137.000 figure stagionali solo per l’estate, tra camerieri, cuochi e baristi. Una situazione che si ripete ogni anno, con un impatto diretto sulla qualità del servizio e sulla tenuta operativa delle strutture.

 

A fronte di questa difficoltà, la risposta più concreta — e già ampiamente in atto — è il ricorso alla manodopera straniera. Oggi quasi un terzo degli occupati nel turismo italiano proviene dall’estero. In alcune aree, come il Nord-Est, questa quota supera il 40%. Un dato che non può più essere letto solo come una necessità operativa, ma come un elemento strutturale con cui il management deve confrontarsi seriamente.

 

Gestire un’azienda composta da persone con culture, lingue e approcci differenti non è semplice. Non basta “inserire” risorse nel sistema: occorre lavorare sulla cultura aziendale. Serve costruire un’organizzazione capace di accogliere, formare e valorizzare la diversità. Servono percorsi di onboarding più attenti, formazione linguistica, affiancamento nei primi mesi di lavoro. Serve soprattutto una leadership capace di leggere le dinamiche interculturali e tradurle in coesione.

 

In molti casi, si parla ancora troppo poco di comunicazione interna, di sistemi di crescita professionale per chi oggi occupa ruoli operativi ma ha competenze maggiori, o di semplici strumenti visivi e pratici per facilitare il lavoro quotidiano.

 

Eppure, è proprio su questi aspetti che si gioca una parte importante del futuro del nostro settore. In un sistema che continuerà a dipendere dalla manodopera straniera — anche grazie al Decreto Flussi e ai nuovi canali di ingresso — le imprese che sapranno trasformare questa diversità in un valore saranno quelle più resilienti, più attrattive e più sostenibili nel lungo periodo.

 

Tuttavia, non va ignorato un elemento di realtà: l’integrazione non è un processo automatico né sempre armonioso. La convivenza all’interno di uno stesso team tra persone provenienti da contesti culturali, religiosi e sociali molto diversi può generare tensioni, incomprensioni e – talvolta – veri e propri conflitti. Dalle differenze linguistiche all’uso di toni percepiti come aggressivi, fino a visioni profondamente differenti su ruoli, gerarchie o modalità di interazione, non è raro che emergano attriti quotidiani che mettono alla prova la gestione aziendale. Proprio per questo, la formazione interculturale, l’ascolto attivo e una governance attenta al clima interno sono diventati strumenti imprescindibili. L’inclusione non è uno slogan: è una pratica che richiede metodo, tempo e consapevolezza.

 

Roberto Necci

info@robertonecci.it 

 

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