16/07/2025 - 16/07/2028
Il turismo viene spesso accusato di essere un settore a basso valore aggiunto. È una critica frequente, supportata anche dai dati macroeconomici, che evidenziano una minore produttività per addetto e una marginalità inferiore rispetto ad altri comparti dell'economia. Tuttavia, dietro questa constatazione apparentemente oggettiva si cela una realtà più articolata, soprattutto se si analizza il tessuto imprenditoriale del comparto alberghiero italiano.
Le nostre analisi mostrano come in Italia molte strutture alberghiere stentino a raggiungere i livelli di performance economica potenzialmente esprimibili. In numerosi casi si osservano gap di fatturato del 30–40% rispetto ai benchmark di mercato per strutture analoghe in termini di localizzazione, categoria e capacità ricettiva. Questo significa che una parte significativa della ricchezza non viene nemmeno generata, non per limiti strutturali del mercato turistico, ma per inefficienze interne alle singole aziende.
Sebbene sia facile addossare le responsabilità alla natura del settore – stagionalità, forte concorrenza, vincoli infrastrutturali – la vera criticità risiede, in molti casi, nella gestione dell’impresa. Più precisamente, nella mancanza di una vera cultura manageriale. Il modello imprenditoriale dominante è ancora quello del "padre-padrone": una figura accentratrice che, spesso per motivi culturali o storici, fatica a delegare, a strutturarsi in modo professionale e a prendere decisioni strategiche basate su analisi di mercato e dati.
Questa impostazione produce una doppia perdita: da un lato, si limitano le possibilità di intercettare nuovi segmenti di domanda, dall’altro, si ostacola l’evoluzione dell’impresa in chiave industriale. Il risultato è un’impresa che rimane piccola, poco efficiente, e incapace di competere in un contesto globale dove l’ospitalità si è trasformata in una scienza complessa, fatta di marketing digitale, pricing dinamico, ottimizzazione operativa e customer experience.
Ciò che manca, spesso, è un’evoluzione del ruolo dell’imprenditore da gestore operativo a investitore strategico. In altri settori, la separazione tra proprietà e gestione è ormai consolidata. Nel turismo italiano, invece, questa trasformazione stenta ad avvenire. Troppo spesso il fondatore o la famiglia fondatrice continuano a detenere un controllo diretto sulle scelte operative, anche quando non hanno le competenze per affrontare le sfide di un mercato che cambia rapidamente.
Favorire la transizione verso una governance più moderna – con manager esterni, piani industriali evoluti e strumenti di controllo di gestione – è fondamentale per sbloccare il potenziale inespresso del settore. Non si tratta di “snaturare” l’identità dell’impresa familiare, ma di renderla più competitiva e sostenibile nel lungo termine.
Il turismo italiano ha un potenziale straordinario, non solo in termini di attrattività, ma anche di ritorni economici. Tuttavia, per trasformarlo in valore aggiunto reale, serve un cambio di paradigma nella gestione delle imprese alberghiere. Il problema non è il turismo in sé, ma la qualità della leadership che lo guida. E finché non si affronterà questo nodo culturale e strutturale, continueremo a criticare un settore che, in realtà, non è povero per natura, ma impoverito da chi lo gestisce male.
Roberto Necci
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