21/07/2025 - 21/07/2028
Tra le risposte più ricorrenti alla domanda su quale sia il percorso lavorativo più ambito, soprattutto tra le nuove generazioni, spiccano il "marketing territoriale", il "digitale" e tutte le declinazioni a essi collegate. La professione del marketing territoriale, che si occupa di promuovere e valorizzare aree geografiche per attrarre turisti, investitori o nuovi residenti, viene spesso presentata come una carriera dinamica, creativa e strategica.
Tuttavia, dietro questa immagine attraente si nascondono numerose criticità strutturali, soprattutto per chi oggi è giovane ed entra nel mondo del lavoro.
1. Un settore quasi privo di sbocchi professionali ( con buona pace di chi propina queste professioni )
Uno dei problemi più gravi è la scarsità di opportunità concrete di impiego. Il marketing territoriale è spesso inglobato all’interno di enti pubblici (Comuni, Regioni, enti turistici) o affidato a poche agenzie di comunicazione già consolidate.
Questo significa che:
I posti di lavoro sono pochissimi, spesso legati a incarichi temporanei o politicamente determinati.
Le opportunità per i giovani sono limitate o inesistenti, con bandi pubblici rari e orientati a profili già esperti.
L’accesso alla professione richiede reti di contatto locali o legami politici, penalizzando chi si muove da altri territori o non ha agganci.
2. Sovraqualificazione e sfruttamento
Molti giovani con lauree in comunicazione, marketing o turismo si avvicinano al settore con entusiasmo, per poi trovarsi a lavorare gratuitamente o sottopagati in progetti marginali o di facciata. Gli stage formativi si moltiplicano, ma le assunzioni reali sono pochissime. Il risultato è un meccanismo che alimenta frustrazione e precarietà, dove la formazione acquisita raramente viene valorizzata.
3. Un settore poco dinamico e scarsamente rinnovabile
Il marketing territoriale è spesso bloccato da una gestione burocratica e conservativa, che ostacola l’innovazione e l’apertura verso nuove competenze. Le giovani generazioni, portatrici di nuove visioni digitali e di strumenti contemporanei (social media strategy, data analytics, storytelling multimediale), vengono tenute ai margini a favore di figure “istituzionali” più legate a logiche amministrative che strategiche.
4. Il rischio di restare una professione di facciata
In molti contesti italiani, il marketing territoriale è ridotto a un esercizio di immagine pubblica, utile solo per promuovere eventi o azioni simboliche. In assenza di un reale piano strategico e di investimenti strutturali, il lavoro nel settore si svuota di significato, rendendo ancora più improbabile la creazione di occupazione stabile e qualificata.
Una professione chiusa, da ripensare
In Italia non esistono stime ufficiali su quante persone siano occupate nel marketing territoriale, e probabilmente gli addetti svolgono questa funzione parallelamente ad altre funzioni assegnate dai Coomuni; considerando che in Italia abbiamo circa 8000 comuni dovremmo avere almeno altrettante persone che anche salturiamente o parallelamente svolgono questa funzione. Ad eccezione dei Comuni più grandi, dove il modello organizzativo è diverso, è improbabile che i piccoli centri possano organizzarsi con divisioni dedicate. Non diversa la situzione delle Regioni che stanno eliminando costantemente le APT creano in seno agli assessorati delle strutture che fra le varie funzioni svolgono anche quella della promozione.
Non va dimenticato che si parla di enti pubblici con tutti i limiti di budget, tecnologia e burocrazia che li contraddistinguono che sono in antitesi con la velocità e l'immediatezza decisionale che dovrebbe contraddistinguere il settore del marketing.
Il marketing territoriale ha un potenziale interessante, ma nel panorama attuale italiano si configura come una professione poco accessibile e scarsamente meritocratica, in particolare per i giovani. Senza una riforma profonda che apra spazi reali di inserimento, favorisca la trasparenza nei bandi, e valorizzi competenze contemporanee, il rischio è che questa professione resti una vetrina senza futuro, praticata da pochi e incapace di incidere realmente sullo sviluppo dei territori.
Roberto Necci
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