27/08/2025 - 27/08/2027
Negli ultimi vent’anni il turismo italiano è stato dominato da una logica di volumi: più arrivi, più pernottamenti, più metri quadri da destinare a camere. Questa dinamica ha favorito sia i grandi hub urbani che le destinazioni balneari e montane, spesso con un modello basato sulla quantità più che sulla qualità.
Oggi, nel 2025, lo scenario appare radicalmente diverso. La saturazione dell’offerta, la crescita esponenziale dell’extralberghiero e i cambiamenti nelle abitudini dei viaggiatori stanno imponendo una nuova parola d’ordine: valore.
Il turismo di massa aveva come obiettivo la crescita continua delle presenze, senza interrogarsi troppo sulla marginalità. Alberghi pieni, ma spesso con un ADR compresso e con costi operativi sempre più elevati. La crisi energetica e l’inflazione hanno reso insostenibile questo modello: riempire non basta più, occorre riempire bene.
Gli investitori, di conseguenza, non guardano più solo al tasso di occupazione, ma all’EBITDA reale e alla capacità della struttura di generare cassa in maniera continuativa.
I nuovi flussi turistici – soprattutto provenienti da Stati Uniti, Medio Oriente e Asia – non ricercano semplicemente un letto dove dormire, ma un’esperienza integrata fatta di ospitalità, autenticità e servizi accessori. Ciò porta a rivalutare strutture medio-piccole, boutique hotel e resort capaci di raccontare un territorio, più che a puntare su grandi complessi indifferenziati.
Questa trasformazione è evidente a Roma, Firenze e Venezia, ma si sta diffondendo anche nei distretti emergenti: borghi rigenerati, località minori, aree interne in via di rilancio grazie al PNRR e a iniziative di rigenerazione urbana.
Il capitale che si muove verso il settore non cerca più soltanto operazioni speculative di breve periodo, ma tende a privilegiare investimenti con un orizzonte medio-lungo. I fondi immobiliari, le SGR e le family office pretendono strutture di governance solide, piani industriali credibili e una gestione professionale.
Il tema centrale non è più “comprare un albergo”, ma “gestire un asset alberghiero come una vera azienda”. Ciò include strategie di revenue management evoluto, attenzione alla digitalizzazione dei processi e una sempre maggiore apertura a modelli ibridi di contratto (management, lease, franchising).
Il rischio per l’Italia è evidente: rimanere intrappolata nella dimensione del turismo di massa – con città sovraffollate e margini ridotti – o saper fare un salto di qualità puntando su turismo selettivo, esperienziale e ad alto valore aggiunto.
Questa sfida riguarda non solo gli imprenditori, ma anche le istituzioni locali. I piani regolatori, ad esempio, dovranno tener conto della riconversione di immobili non più idonei alla ricettività tradizionale, per evitare la nascita di veri e propri “cimiteri alberghieri”.
Il 2025 segna un punto di svolta: il turismo italiano non potrà più basarsi sulla quantità, ma sulla capacità di attrarre viaggiatori disposti a spendere di più per servizi autentici e qualificati.
Gli investimenti alberghieri, di conseguenza, dovranno orientarsi verso progetti che uniscano sostenibilità economica, innovazione gestionale e valore per il territorio.
Un cambio di paradigma che, se interpretato correttamente, può riportare l’Italia a giocare un ruolo da protagonista nello scenario globale.
Roberto Necci
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