04/05/2025 - 04/05/2027
Nel contesto post-pandemico, caratterizzato da elevata liquidità nei mercati finanziari, compressione dei rendimenti tradizionali e instabilità geopolitica, il comparto alberghiero è tornato al centro delle strategie di M&A (merger & acquisition) dei principali fondi di investimento. Tuttavia, l’interesse degli operatori istituzionali si concentra solo su asset che rispondano a criteri molto specifici in termini di performance, struttura contrattuale e posizionamento strategico.
I fondi differenziano l’allocazione in base alla tipologia di asset e al rischio percepito. Le asset class preferite sono:
Full service branded hotels in località primarie (Roma, Milano, Venezia), dotati di solidi fondamentali operativi e presidio internazionale;
Resort e leisure asset upper-upscale/luxury, specialmente se integrati con esperienze e servizi ancillari ad alta marginalità;
Strutture extended stay e aparthotel, considerate resilienti in scenari di crisi per la durata media del soggiorno e i minori costi di turnover.
Sono generalmente escluse dalle operazioni core:
Asset indipendenti senza brand riconosciuto;
Hotel con elevato capex backlog (necessità di ristrutturazioni onerose);
Strutture con contratti gestionali opachi o poco scalabili.
I fondi prediligono operazioni dove è possibile isolare il rischio operativo e ottenere stabilità nei flussi:
Contratti di lease garantito (fixed lease o minimum guarantee), che assicurano una redditività stabile indipendentemente dalla performance;
Management contract con brand internazionali, con fee legate a performance e possibilità di sostituzione (key money, termination clause);
Mixed structure (OpCo/PropCo) dove l’operatore è separato dalla proprietà immobiliare e la redditività è distribuita in modo trasparente.
Gli asset appetibili per operazioni di M&A presentano specifici indicatori di performance:
GOP margin > 35%, come soglia di efficienza operativa;
RevPAR in crescita costante, con CAGR > 5% su base triennale;
TRevPAR e ancillary revenue solidi, per garantire una marginalità multilivello;
Debt Service Coverage Ratio (DSCR) > 1,3, per garantire la bancabilità;
Cap rate coerente con il profilo rischio-rendimento atteso (oggi tra 5,5% e 6,5% in Italia per asset prime).
Oltre alla componente gestionale, i fondi analizzano:
Stato manutentivo e impiantistico: presenza di adeguamenti ESG, smart systems, domotica;
Destinazione d’uso chiara e stabile: assenza di rischi regolatori o conflitti urbanistici;
Potenziale di riconversione o estensione volumetrica, che aggiunge valore in un’ottica value-add.
La location è valutata in termini di accessibilità, pressione concorrenziale, trend turistici locali e pipeline futura.
Le operazioni di M&A alberghiere oggi richiedono una due diligence articolata, suddivisa in:
Due diligence finanziaria: validazione dei flussi storici e previsionali, esposizione debitoria, qualità dei ricavi;
Due diligence operativa: analisi dei processi interni, dei costi fissi/variabili, della dipendenza da singoli canali di vendita;
Due diligence ESG e legale: rischi ambientali, contratti di lavoro, conformità edilizia e urbanistica.
Dopo il closing, la governance viene ridefinita con modelli di controllo integrati, spesso con la nomina di un asset manager dedicato e KPI contrattuali (KPI-linked management agreements).
I grandi fondi selezionano asset alberghieri che combinano stabilità finanziaria, trasparenza gestionale, resilienza operativa e solidità immobiliare. La logica non è solo di valorizzazione passiva, ma di attivazione strategica del capitale, attraverso operazioni che garantiscano ritorni risk-adjusted in linea con i benchmark internazionali.
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Roberto Necci
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